La dominazione francese sul territorio della città di Teramo è evidente in molti modi, primo tra tutti – ma meno osservato – nel dialetto. Moltissime parole di uso comune, nell’idioma aprutino vengono pronunciate proprio in francese e con il medesimo significato (“la fije”, la figlia – “la famije”, la famiglia – “la paje”, la paglia e così via). Ma dove l’impronta è più nota, perché legata alla vera tradizione, è nella preparazione di una pietanza che è vera regina della gastronomia di Teramo: la scrippella.
La scrippella (o crespella in italiano) è la sorella quasi gemella delle celeberrime crêpes: si differenziano dalle loro parenti prossime sia per la sostituzione di due ingredienti (l’acqua al posto del latte ed il lardo per ungere la padella al posto del burro), sia perché l’utilizzo è prettamente riservato alle preparazioni salate.
Le Scrippelle ‘Mbusse
E’ il primo piatto sontuoso, è un trionfo di gusto ineguagliabile.
E’ una minestra raffinata ed elegante. Le scrippelle vengono cosparse di pecorino grattugiato (o parmigiano), arrotolate e bagnate (“’mbusse”) con il brodo (rigorosamente di gallina) caldo.
E’ uno dei simboli dell’arte culinaria teramana, piatto cittadino la cui nascita è storicamente datata ed accertata, frutto di un curioso “incidente”.
Siamo nel 1798 e le truppe francesi hanno occupato la città. I soldati transalpini sono stanziati fuori le mura, presso la zona del Santuario della Madonna delle Grazie. Il cuoco francese addetto alla mensa, al posto del pane ottenuto da materie povere tipico in quei tempi di carestia, serviva le crêpes (utilizzate come una sorta di gallette), ritenute più appetibili e gustose. Al cuoco teramano Messer Enrico dei Castorani (aiuto del collega d’oltralpe, una sorta di Sous Chef dei tempi che furono) capitò un piccolo guaio: le crêpes che stava preparando gli caddero dentro il brodo destinato alla truppa. Per rimediare al danno e per non sprecare cibo prezioso in quei tempi duri, l’ingegnoso e fortunato cuoco servì quella deliziosa combinazione creando le scrippelle ‘mbusse. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che si stava assistendo ad un evento destinato a diventare storia nella cucina teramana.
Ma non possiamo fermarci qui, perché la scrippella è protagonista indiscussa di un altro capolavoro gastronomico ormai conosciuto oltre i confini cittadini, regionali e nazionali.
Il Timballo
Il timballo alla teramana utilizza le scrippelle al posto della pasta sfoglia e questo rende il piatto molto più raffinato e gustoso. Vengono disposte a strati che si alternano ad un ricco condimento che può variare e far scatenare la fantasia di chi si cimenta in questa preparazione. Se vogliamo partire dalla tradizione antica, fatta essenzialmente di recupero, il timballo veniva farcito con gli avanzi della gallina utilizzata per il brodo delle scrippelle ‘mbusse: la carne veniva sfilacciata e ridotta in piccole parti, si aggiungevano pecorino grattugiato, i pezzettini della frittata realizzata con le verdurine locali tipiche degli orti cittadini, a volte carciofi o spinaci o piselli, il tutto bagnato con uovo sbattuto mischiato a latte.
Con il passare del tempo, la ricetta si è arricchita con l’utilizzo delle “pallottine” (piccolissime polpette di carne), del sugo e della mozzarella. Ma c’è un elemento che vale per qualsiasi preparazione: ogni ingrediente della farcitura deve essere preventivamente cotto.
Ovviamente, maggiori saranno gli strati, maggiore sarà l’altezza del timballo. Essendo piatto della festa, anticamente si abbondava per creare una pietanza degna del momento da celebrare. Veniva assemblato in pentole di forma rotonda; una volta cotto, il timballo tagliato a spicchi assumeva quasi le sembianze di una torta.
Oggi, per praticità, si preferisce utilizzare la teglia rettangolare: ecco perché il timballo si presenta con la forma che conosciamo. La cottura avviene mettendo il recipiente in un forno ben caldo a temperatura di circa 160°C/180°C per un tempo variabile (in genere un’ora). Quando il calore ha amalgamato bene tutti gli ingredienti e si è creata una leggera crosta dorata sull’ultimo strato, il piatto è pronto.
E’ preferibile non servire immediatamente: il timballo non va mangiato bollente, fatto riposare almeno una mezz’ora, si presenterà comunque caldo ma non ustionante e si riuscirà a cogliere il perfetto mix dei sapori, a tutto vantaggio del gusto.
Se poi vogliamo proprio dirla tutta, il timballo del giorno dopo mangiato freddo, è una di quelle esperienze gastronomiche che fa quasi gridare al miracolo.
Le “Fregnacc’ ”
Continuando a parlare di cucina di recupero, l’ingegnosità delle massaie teramane ha dato vita ad un altro gustosissimo e spettacolare primo piatto a base di scrippelle: le “Fregnacc’”.
Sono dei veri e propri cannelloni riempiti con l’avanzo degli ingredienti della farcitura del timballo, arrotolati e cotti al forno. Se vogliamo, ne sono una sorta di variante, attualmente utilizzata anche in molti ristoranti che preferiscono ridurre le scrippelle anche in una sorta di fagottini, proponendo una versione moderna di un piatto della tradizione buonissimo ed amatissimo da tutti.
Abbiamo parlato di tre piatti sontuosi basati tutti su un unico ingrediente.
Quando vi abbiamo presentato Sua Maestà La Scrippella come la Regina di Teramo non stavamo esagerando, vero?
(Si ringraziano gli autori delle foto, senza il contributo dei quali non ci sarebbe stato possibile raccontare queste perle della tradizione culinaria abruzzese. Un ringraziamento particolare a Maurizio Anselmi)
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