“Quella di solina aggiusta tutte le farine” – “Se il contadino vuole andare al mulino, deve seminare la solina”, due detti popolari che testimoniano la connessione tra questa varietà di grano e la vita contadina abruzzese. La solina è il frumento tenero tipico delle montagne dell’Abruzzo, per la costanza produttiva su terreni poco fertili e per la resistenza al freddo. È questo un esempio di recupero di una cultivar molto antica, che riconferma la biodiversità abruzzese in agricoltura. Fonti storiche, atti notarili di compravendita, fonti risalenti al 1500, testimoniano la sua coltivazione in Abruzzo, ed è citata a fine ‘700 nel libro Pel paese dei Peligni di Michele Torcia, in cui annota che da questo grano si ricavava “uno dei migliori pani del Regno”. Agli inizi del XX secolo, questo tipo di frumento è stato utilizzato dal famoso genetista italiano Nazareno Strampelli per alcuni esperimenti e incroci con altre varietà locali. È un grano caratteristico delle zone montane, soprattutto del versante aquilano, dove ha sviluppato un attaccamento all’ambiente difficile, caratterizzato da un terreno brullo e clima rigido. In grado di sopravvivere per mesi sotto la neve senza marcire, può essere coltivato dai 600 ai 1400 metri s.l.m.; anzi maggiore è l’altitudine, migliore è la qualità. La semina avviene in autunno, da metà-fine settembre per i terreni più alti, alla seconda-terza decade di ottobre per le vallate interne poste a quote più basse. Dal seme si produce una farina molto rustica, tenace e adatta alle lavorazioni, con cui per secoli in Abruzzo sono stati prodotti pane e pasta fatta in casa. Due sono le preparazioni che la riguardano: la sfoglia tagliata a fazzoletti per i timballi e le scrippelle (crepes tipiche del teramano) in brodo.
IL PRESIDIO: Poco adatta alle moderne tecnologie di produzione che richiedono grani ad alto contenuto di glutine, la farina di solina dona ai prodotti da forno e alla pasta fatta in casa sapori inaspettati, quasi dimenticati. La sua coltivazione, però, è impegnativa: i terreni montani sono difficili da raggiungere e da lavorare; la coltivazione deve essere alternata a colture con mais e patate e poi a leguminose da foraggio o da granella come cece e lenticchie; i tempi di attesa del raccolto sono lunghi, specie nelle altitudini più elevate, infine la resa media non è altissima, attestandosi sui 20 quintali ad ettaro. Una decina di agricoltori della zona montana, riuniti in cooperativa, portano avanti il recupero e la valorizzazione di questa varietà antica, coltivando alle altitudini maggiori, più vocate, seguendo i princìpi dell’agricoltura biologica e cercando di promuovere nelle lavorazioni artigianali, l’utilizzo della farina per la preparazione di pasta e pane.
STAGIONALITA’:La semina è esclusivamente autunnale.Da metà – fine settembre per i terreni più alti. Seconda – terza decade di ottobre per le vallate interne, poste a quote più basse. La raccolta avviene in luglio inoltrato.
AREA DI PRODUZIONE: Areale del Gran Sasso, in particolare nella provincia de L’Aquila e nelle zone del versante opposto con altitudine superiore ai 750 metri s.l.m.