L’Abruzzo è terra di tradizione contadina. E nel mondo contadino, insieme alla terra, gli animali erano il bene più prezioso per l’aiuto nel lavoro e per sfamarsi. Uno dei Santi più venerati era, pertanto, Sant’Antonio Abate (protettore delle bestie) il cui culto è ancora oggi molto radicato in Abruzzo, diffuso soprattutto nelle zone rurali e nei borghi.
La sua festa cade il 17 di gennaio, quando le giornate lentamente cominciano ad allungarsi: è una data particolarmente importante per i contadini, apre il ciclo dell’anno, indica i lavori da svolgere nei campi, è il periodo che introduce la primavera e viene festeggiato con riti propiziatori, sacrifici di animali e tutta una serie di manifestazioni anche di carattere folcloristico che gruppi di cantori riescono miracolosamente a tenere ancora oggi in vita.
Il legame tra la figura del Santo ed il mondo animale, si spiega raccontando un po’ la sua storia.
Nato da famiglia molto ricca, donò tutti i suoi averi ai poveri e si ritirò in preghiera nel deserto della Tebaide, dove coltivava un piccolo orto per il suo sostentamento e per quello di discepoli e pellegrini che si rivolgevano a lui per aiuto o per imitarne la scelta di vita.
Sant’Antonio ed i suoi seguaci (la confraternita degli Antoniani, divenuta poi “Ordine Ospedaliero degli Antoniani”) si occuparono della costruzione di un ospedale per la cura dei malati che fu possibile realizzare grazie ad un lascito di un nobile francese a cui il Santo aveva guarito il figlioletto dall’herpes zoster (il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”) utilizzando il grasso del maiale con cui aveva unto il corpo del bambino. Per tale motivo, gli Antoniani furono autorizzati all’allevamento di questi animali all’interno dei centri abitati: si curavano i malati con gli unguenti e si sfamavano i poveri con la carne. Gli animali circolavano con una campanella attaccata al collo, ecco perché nell’iconografia il Santo viene ritratto con accanto il maialino
Acerrimo nemico del demonio, vengono raccontate lotte furibonde durante le quali il santo fu più volte aggredito e percosso. La leggenda popolare narra che Sant’Antonio scese all’inferno per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo; il suo maialino sgattaiolò dentro creando scompiglio fra i demoni. Il Santo ne approfittò per accendere col fuoco infernale il suo bastone che poi portò fuori (insieme al maialino salvato), infiammando con esso una catasta di legna.
Per tale motivo il 17 Gennaio è ancora oggi il Giorno dei Fuochi ed in tanti piccoli centri d’Abruzzo vengono fatte bruciare enormi cataste di legna, i cosiddetti Focaracci (li Fucaracc’ o li Fucarun’).
Oltre al rito dei fuochi, gruppi di cantori – Li Sandandonijre – giravano di casa in casa intonando liriche a mò di odi e di rappresentazione teatrale con i quali rievocavano le vicende e gli eventi della vita del Santo, richiedendo la questua in Suo onore. Ancora oggi, la tradizione resiste.
Questi giovani artisti, nel loro piccolo, sono degli eroi:
Le famiglie offrivano in dono ai questuanti dei dolci ripieni, dalla caratteristica forma di uccellini: li Cillitt’.
E’ possibile reperirli in alcuni panifici, ma trattasi di tradizione piuttosto casalinga: se volete assaggiarli, basta seguire questa facile ricetta